Roma - tessera bus - 1975

Roma - tessera mensile bus - 1975 - Era una linea tosta il 391 e sfidava ogni giorno traffici epici, blocchi apocalittici, mitigati solo in seguito dalla rimozione del semaforo di via dei Prati Fiscali e dalla costruzione dello svincolo sulla Salaria, che richiederà 10 anni di lavori perché, dicevano gli esperti, c'era una villa romana là sotto e che prima di abbatterla e ricoprirla con l'asfalto ci avrebbero dovuto pensare bene. A conti fatti furono dieci anni di riflessioni, mica mesi, manco si trattasse del lago sotterraneo scoperto durante i lavori della metropolitana A, che bloccò i lavori negli anni ‘60, o delle sale coi dipinti romani che si disintegravano a contatto con l'aria, come accade nel film Roma di Federico Fellini. Erano sì e no quattro muretti in opus incertum, qualche colonnina corinzia, anfore rotte, i resti di una villa rustica fuori città, lungo la Salaria, destinata alla produzione agricola, con decine di schiavi al lavoro ogni giorno in condizioni disumane, in pratica gli antenati di quelli che duemila anni dopo avrebbero riempito il 391, con le sue ruotacce nere di petrolio e le porte a soffietto sfiatate. Quel bestione verde sbuffante gas di scarico gli sarebbe passato sopra incurante della storia. Ma all’inizio, archeologi, ingegneri, muratori, impiegati del comune, vigili urbani, non ne venivano a capo, e il traffico aumentava giorno dopo giorno: due ore per fare cento metri, un’ora per farne cinquanta, praticamente un passo al minuto. Provate anche voi, orologio alla mano, e poi ditemi se non impazzireste. Ma un bel giorno, proprio come accade nelle belle fiabe, uno dei saggi, quello più smaliziato degli altri, disse: "Ma sti cazzi dei romani antichi, la villa se la potevano costruire un po' più in là se ci tenevano a conservarla in eterno, copriamo tutto con una bella colata di cemento e facciamo sta strada che la gente se ne sbatte dell’archeologia e tra un po’ non ci voterà più". E così facendo - tra studiosi che inveivano e politici che in fin dei conti se ne sbattevano - il nostro eroe liberò un quartiere di 500.000 anime dalle più atroci pene dell'inferno. I lavori effettivi durarono relativamente poco: una volta avuto il via libera, gli ingegneri stradali, frustrati dal conservatorismo dei Beni Culturali, si accanirono rabbiosi sulla villa romana disintegrandola a picconate, manco fosse lei quella che aveva scelto di essere costruita duemila anni prima in prossimità di quello svincolo. Liberi. Liberi finalmente di respirare aria pulita, quanto meno di crederlo. Erano tutti convinti di poter scongiurare in quel modo il pericolo dei gas di scarico dovuti al traffico, anche se in realtà esalazioni mefitiche di un certo peso continuarono a oltrepassare come soffioni boraciferi i finestrini a ghigliottina – non proprio a chiusura ermetica - fondendosi con gli umori caldi di gente svegliata all'alba. Nonostante i lavori, per il vecchio 391 era ormai troppo tardi; anche davanti ai pochi tratti di strada liberata dal traffico, l’autobus non riusciva a prendere velocità, arrancava in salita come arrancava in pianura e in discesa, mai che una volta riuscisse ad allungare il passo. La gente appesa ai sostegni, ondeggiando in curva e sulle cuneette, lo incitava con cori da stadio: "non mollare"; "corri corri, daje". Un po’ lo sfottevano e un po’ lo compativano, pur con l’amore e la clemenza che si riserva ai derelitti. In fin dei conti tutti volevano bene a quel vecchio catorcio. Non era raro che durante quei cori qualcuno tirasse fuori il fazzoletto giustificandosi con la solita storia del bruscolino nell'occhio. Il 391 zoppicava, come una vecchia vaporiera, ma non si fermava, e furono in pochi, segregati lì dentro, ad accorgersi che il paesaggio oltre i finestrini stava cambiando. Il 391 visse ancora per molti anni, sganciando nell'aria, attraverso il tubo di scappamento sul tettuccio, i suoi sbuffi malefici lungo il percorso, rivolti al cielo dei Prati Fiscali, dell'Olimpica, di Tor di Quinto, del ponte Mollo, del Foro Italico, dell'obelisco Mussolini, dello stadio del nuoto e di quello del tennis, per fermarsi esausto al ricovero capolinea di piazzale Clodio. Nel tempo, furono pochi gli interventi di maquillage a lui riservati: solo qualche bus meno datato, meno sporco, meno rotto, forse addirittura meno inquinante. Fatto sta che nessuno mosse un dito quando, qualche anno dopo, in seguito all’ampliamento di un ramo della metropolitana, il 391 fu definitivamente soppresso.

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